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Un raid indimenticabile


By Lorenzo Arena lorenzoarena@hotmail.com, Thu, 20 Apr 2000 10:59:36 CEST
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La nostra incredibile avventura ebbe inizio esattamente un anno prima della nostra partenza mentre me ne stavo sdraiato sotto il sole cocente in una spiaggia della Costa Azzurra, impegnato a trascorrere le mie vacanze nella più assoluta tranquillità insieme a Fabrizio, compagno di mille allenamenti; forse proprio per colpa del sole e del gran caldo gli rivolsi una frase che rimpiansi a lungo di aver pronunciato: “il prossimo anno basta spiaggia, si va a fare un viaggio in bici”, a Fabrizio, ottimo fondista (7° alla Milano-Sanremo del ’97) e pazzo quanto basta, gli si illuminarono gli occhi e senza una minima esitazione mi rispose: “d’accordo, andiamo!”

Da lì a poco si decise anche il percorso, e proprio su questo punto emersero, sia la nostra totale incoscienza, che la voglia di affrontare una sfida il più incredibile possibile. Premesso che nessuno di noi due ha mai effettuato un viaggio in bicicletta in vita propria, e di conseguenza tantomemo mai provato a percorrere un solo chilometro con le bici cariche di bagagli, in più non abbiamo neanche mai scalato alcun “passo” sopra i 2000m, decidemmo di effettuare la traversata dell’intero arco alpino partendo da Trieste ed arrivando a Genova, scalando nel frattempo 34 valichi d’alta montagna dei quali ben 22 “over 2000” per un totale di 2190 km e quasi 50.000m di dislivello totale, il tutto in sole 16 tappe, più un doveroso giorno di riposo, e senza alcun mezzo d’appoggio. Pochi mesi prima del via decise di aggregarsi a noi Paolo, anche lui compagno in tante corse e naturalmente anch’egli privo di esperienze precedenti.

Dopo questa premessa d’obbligo, abbiamo dato il via al nostro “raid” attraversando, con un’auto presa a nolo, la pianura Padana alla volta di Trieste col morale alle stelle e l’auto carica, non solo di bici e bagagli, ma anche della speranza nel riuscire a portare a termine il viaggio, e nei tempi prestabiliti. Tanto per metterci qualche difficoltà in più, semmai ce ne fosse stato bisogno, già prima di metterci in cammino eravamo piuttosto stanchi perché Paolo e Fabrizio il giorno precedente hanno corso una medio-fondo ed io ho terminato una lunga cura antibiotica giusto all’antivigilia della partenza.

Lasciata l’auto nella Stazione Marittima di Trieste abbiamo montato e preparato le nuovissime e scintillanti mountain-bike in versione stradale, per la prima volta in assoluto poiché le abbiamo ricevute poco prima della partenza, consegnateci dal disponibilissimo dott. Paolo Olmo, titolare dell’omonima ditta, in persona. Una volta finite le operazioni di carico, solo a guardale ci hanno messo paura (50 Kg alla bilancia), ci mancava il coraggio di salirci sopra, ci siamo fatti forza ripetendoci una frase letta su di una rivista specializzata, la quale sosteneva che una volta in movimento, le bici non sono poi così spaventose, purtroppo ho scoperto mio malgrado che ciò non è molto vero, mi sembrava di portare un camion però a propulsione umana, e per di più appena ho provato a pedalare un po’ fuorisella per poco non sono finito giù dal molo; ridendo abbiamo cercato di superare il trauma iniziale, però anche se nessuno l’ha detto tutti noi abbiamo pensato e ripensato: “l’avremo sparata troppo grossa?”

Nella prima giornata tutto è filato liscio o quasi, solo una foratura di Fabrizio quasi in vetta all’unico passo della giornata il Predìl ci ha rallentato; notevole la bellezza delle strade in Slovenia, si possono godere le stupende cornici paesaggistiche senza dover stare in allerta per il traffico, poiché totalmente assente, peccato che abbia piovuto per diverse ore; comunque eravamo ben contenti perché abbiamo percorso 172 km alla ragguardevole media di 23 km/h e col passare dei km siamo riusciti a pedalare fuorisella in maniera sempre meno goffa.

Il giorno seguente siamo partiti da Pontebba contando di arrivare a Sappada, alla volta di una tappa molto impegnativa, con circa 3200m di dislivello da scalare in 130 km. La prima difficoltà altimetrica, il passo Pramollo, è stata superata con discreta facilità, la sua strada è incastonata in un incantevole paesaggio mentre si inerpica con tornanti scavati nella roccia; purtroppo, però, una volta raggiunta l’Austria ha avuto inizio il nostro calvario: durante il passo di M.te Croce Carnico Paolo entra in crisi di fame accentuata dalle pendenze impossibili, 16% in diversi tratti; è stata messa a dura prova la sua forza di volontà, ma il miraggio nel riuscire ad arrivare in vetta per poter svaligiare l’abituale bar sito in cima ai passi alpini, lo ha sospinto fino in vetta. Ripresosi Paolo, sulla corta ascesa che porta a Ravascletto, è toccato al sottoscritto andare in crisi per problemi intestinali, è stata una sofferenza unica, ma trascinandomi sono riuscito ugualmente ad arrivare alla base dell’ultima salita, lì stando sempre peggio abbiamo affrontato gli ultimi 5 km che portano a Cima Sappada, ma quando, girando una curva un cartello mi ha indicato 800m al 15% ho avuto veramente paura di dover abbandonare, ma a forza di ripetermi che non si può mollare al 2° giorno sono riuscito a scollinare. Naturalmente le sfortune non sono finite lì, perché una volta raggiunto il tanto sospirato campeggio, il nostro fornello ha deciso di rompersi e così ci è toccato risalire in sella per andare alla ricerca di un ristorante dove poter finalmente cenare.

La mattina successiva siamo partiti tranquillamente per riprenderci dalla terrificante giornata trascorsa, e fortunatamente l’agevole Croce di Comelico ci è venuto incontro, dopo la discesa verso Dobbiaco con il Col S.Angelo siamo entrati nelle Dolomiti ed il lago di Misurina, che con il suo splendore, ci ha riservato uno spettacolare benvenuto; dopo è stata la volta del breve passo Tre Croci che ci ha permesso di giungere a Cortina, base dello spauracchio della giornata il passo di Giau. La prima parte dell’ascesa fino al bivio con il Falzarego è rivelata molto facile tanto che, anche se avevamo più di 100 km nelle gambe, siamo saliti con il 32x21; poi però gli ultimi 8.5 km sono veramente impegnativi, la salita non è regolare, a rampe al 12% si intervallano tratti più pedalabili, ormai le nostre catene sono rimaste inchiodate sul 32x28 fino alla vetta, dove nonostante la stanchezza e l’assalto delle zanzare, la felicità di aver superato il nostro primo “2000” ci ha fatto dimenticare tutte le sofferenze patite. Purtroppo lungo la discesa ci siamo presi l’immancabile temporale giornaliero con grandinata annessa che ci ha fatto arrivare ad Alleghe ben zuppi ed infreddoliti, una volta in campeggio il ciclo-computer ha registrato 135 km a 18 km/h di media.

Fortunatamente la tappa seguente è corta, solo 70 km, però le salite incutono un certo timore: Fedaia, Pordoi e Campolongo in rapida successione. Il passo Fedaia è proprio come lo si vede in televisione, un durissimo rettilineo di 3 km al 15% subito dopo l’attraversamento di Malga Ciapela, il resto abbastanza pedalabile; per affrontare il famigerato muro, abbiamo optato di salire con un agilissimo 22x21, più per rispetto che reale necessità (è stata prima ed unica volta che abbiamo usato il “rampichino”), così tra lo stupore delle persone che ci hanno visto transitare, siamo riusciti ad arrivare in cima, senza aver faticato eccessivamente. Purtroppo, dal punto di vista climatico, la giornata è pessima e le nuvole basse oltre che averci scaricato addosso acqua in gran quantità ci hanno impedito di ammirare il vicino ghiacciaio della Marmolada.

Arrivati a Canazei ci ha atteso l’agevole passo Pordoi, che abbiamo scalato incredibilmente sotto un caldo sole; ormai all’appello ci mancava solo il Campolongo che abbiamo affrontato con ancora tanta “birra” in corpo e così, tanto per non far sopire le nostre voglie corsaiole, abbiamo iniziamo a battagliare, la catena è salita spesso sul 42x24 e la velocità si è avvicinata ai 18 km/h, ma una volta in cima, ad attenderci, come premio, consegnato da Giove Pluvio in persona, c’era l’ennesimo temporale che ci ha scortati fino a Corvara.

Il giorno dopo, al nostro risveglio, c’era finalmente un gran sole; quello che però ci ha colpito di più è stato l’incredibile numero di ciclisti presenti, poi facendo due calcoli, poiché nel frattempo avevamo perso il senso del tempo, ci siamo resi conto che il giorno successivo, proprio dal piccolo paese sarebbe scattata la Maratona delle Dolomiti, sarebbe stato bello avervi potuto partecipare, anche con le bici cariche di bagagli, però dovevamo proseguire la nostra personale ultra gran-fondo e così abbiamo iniziato a scalare il passo Gardena di buona lena. Durante l’ascesa abbiamo sorpassato diversi cicloturisti, i quali dopo un primo momento di smarrimento, ci sono rimasti piuttosto male nel vedersi passare da dei veri ciclo-camion; arrivati a Ponte Gardena, ci hanno atteso lunghi falsipiani, naturalmente e rigorosamente controvento, fino a Vipiteno e da lì ultima ed impegnativa scalata verso il passo Giovo, teatro nel Giro del ‘94 della prima vittoria da professionista di un certo Marco Pantani; siamo arrivati a Merano dopo ben 156 km percorsi a 21 km/h di media.

La tappa seguente prevedeva una sola salita ma di quelle toste: il passo dello Stelvio a 2758m; prima della ascesa come al solito ci siamo troviamo la strada sbarrata da un’insistente vento contrario che ci ha scaldato, anche fin troppo, i muscoli, tanto che non vedevamo l’ora di iniziare la famosa scalata. La salita è molto impegnativa soprattutto tra gli abitati di Gomagoi e Trafoi e nel tratto conclusivo, quello che però è più massacrante non sono i tratti a maggiore pendenza, ma la mancanza di punti dove poter rifiatare, comunque tutte le fatiche ampiamente sono ripagate dall’immenso spettacolo che questa salita offre, soprattutto da quando si inizia a costeggiare il maestoso ghiacciaio dell’Ortles; per gli amanti dei numeri dirò che siamo saliti in 2h 30m circa, percorrendo l’ultimo tratto Trafoi-colle in solo 1h 15m spingendo sempre un 32x24/28. Incredibile ma vero, pur essendo domenica non abbiamo incontrato alcun ciclista, ma solo un’enorme quantità di motociclisti, tra l’altro tutti estremamente simpatici nell’incitarci e salutarci; solo in cima riusciamo svelare il mistero: un motoraduno internazionale proprio sul passo. Purtroppo alla gioia per l’ottima prestazione si è unita la preoccupazione per lo stato di salute di Paolo che da un paio di giorni non si sente molto bene.

A Bormio abbiamo pernottato due volte poiché la tappa seguente prevedeva le scalate del Mortirolo e del passo Gavia con ritorno nella località di partenza; proprio per questo motivo ho deciso di non portarmi i bagagli, Fabrizio invece ha sostenuto che si terrà le borse anteriori, “giusto per non perdere l’abitudine “, ma noi siamo stati più propensi a pensare ad un’insolazione vista la sua chioma non molto folta; Paolo ha preferito rimanere in campeggio per provare a curarsi. Finalmente con la mountain-bike scarica sono riuscito ad apprezzarne le virtù, il telaio in alluminio unito ad un’ottima geometria conferiscono una notevole rigidità al mezzo, il quale mi ha permesso di divertirmi sia in salita che in discesa.

Il passo del Mortirolo scalato da scarico è diventato molto meno impegnativo di tante altre salite meno “rinomate”, così già che c’ero ho provato a fare il tempo, in cima il cronometro si è fermato in 1h 09min, non male! Dopo il falsopiano che porta a Ponte di Legno abbiamo iniziato a salire sul Gavia, che abbiamo scoperto essere chiuso al traffico solo dopo qualche km, stavano asfaltando il tratto centrale, quello famoso per essere una delle ultime strade “bianche”; non potendo fare altrimenti abbiamo deciso di transitare ugualmente, nei tratti più impervi abbiamo faticato non poco a stare in equilibrio a causa della completa aratura praticata dai macchinari pesanti degli operai. Quando siamo usciti dal bosco lo scenario che si è presentato di fronte a noi è stato da mozzare il fiato: nessuna automobile, motocicletta o anima viva, solo noi, con il nostro respiro affannoso e con la gioia nel cuore mentre transitiamo al cospetto di imponenti montagne sotto un cielo incredibilmente limpido. Così dopo aver domato anche il passo Gavia, avevamo il morale alle stelle e cresceva in noi la convinzione della riuscita finale del raid, anche la tabella di marcia, pienamente rispettata, era con noi.

Ma come il noto proverbio insegna, il passo dalle stelle alle stalle è assai breve, infatti appena siamo ritornati in campeggio, ci siamo resi conto che Paolo stava veramente male, rischiava il blocco intestinale e da lì a poche ore i suoi genitori sarebbero venuti a prenderlo per riportarlo a casa; e come se ciò non fosse bastato le previsioni del tempo stavano dando in arrivo una grossa perturbazione per i giorni a venire.

Come previsto ci siamo svegliati sotto delle nubi nere, come il nostro umore, abbiamo ricaricato in silenzio tutti i bagagli, che nel frattempo erano diventati ancora più pesanti a causa dell’attrezzatura di uso comune che trasportava Paolo, e siamo ripartiti non prima di averci giurato a vicenda la ferma convinzione di non mollare mai, qualsiasi cosa fosse accaduta. Così abbiamo imboccato il passo del Foscagno, agevole ma lungo, in prossimità del quale siamo stati avvolti, in meno che non si dica, da una fitta nebbia mentre la pioggia iniziava a farsi sempre più insistente. Passiamo per Livigno, proseguendo per la Forcola, risaliamo sul Bernina, successiva discesa verso St.Moritz ed ulteriore discesa dal Maloja fino a Bondo piccolo paese svizzero vicino a Chiavenna, ma a suggello di una giornata incredibile, alla quale renderebbe più giustizia potervi scrivere un intero libro, basti pensare che ha sempre piovuto, quando non ha diluviato, il tutto ad una temperatura sempre compresa tra lo 0 ed i 5°C, ci siamo fermati in un campeggio non custodito, nel quale per potersi fare un doccia calda bisognava acquistare i gettoni dal custode, che ovviamente per definizione non poteva esistere, i quali però si potevano ritirare solo a tarda serata, perciò senza essere riusciti a smettere tremare, ci siamo lavati alla bene-meglio nei lavandini con acqua fredda; solo un litro di the bollente e il ricordo del giuramento fatto in mattinata ci ha permesso di rimetterci un po’ in sesto.

Fortunatamente col trascorrere della nottata la perturbazione se ne era andata, così sotto un pallido sole dopo pochi km siamo arrivati a Chiavenna ove ha inizio l’interminabile ascensione verso il passo dello Spluga: 35 km con ben 1800m di dislivello. La salita, all’inizio da noi un po’ sottovalutata, è risultata molto impegnativa soprattutto nei primi km, però purtroppo quando, negli ultimi km, le pendenze diventano più agevoli, il forte vento contrario ci ha imposto lunghi tratti in apnea. Il passo successivo è stato il San Bernardino, corto e pedalabile, giusto quello che ci voleva per riprenderci un po’ dal precedente colle, nonostante un repentino cambio del clima ha portato un improvviso fronte d’aria freddo, così a poco dalla vetta ha iniziato a nevicare, proprio quello che ci mancava per completare il già vasto campionario di situazioni climatiche. Scendere a valle è stato piacevole e soprattutto molto veloce tanto che, a riprova della bontà dell’insieme bici-borse, in un tratto misto abbiamo toccato persino gli 86 km/h di velocità massima. Purtroppo, poco prima di Bellinzona, il vento, che lungo la discesa ci spingeva, ha cambiato verso ed intensità, così tanto che dagli alberi sono piovuti rami sulla strada, e noi, che nostro malgrado, con le borse facevamo un attrito incredibile all’aria, pur essendoci impegnati al massimo non siamo riusciti a schiodarci dai 10 km/h. A causa di ciò ed alla lunghezza della tappa, abbiamo percorso 151 km, siamo arrivati tardissimo a Locarno e ci siamo infilati nel primo campeggio che abbiamo trovato; purtroppo la stanchezza unita alla gioia di sapere che finalmente avremo trascorso un giorno di riposo, non ci hanno permesso di notare che stavamo per soggiornare nel campeggio più caro del mondo, così la mattina della partenza abbiamo pagato la nostra distrazione ben 150.000 lire.

Ciò che più mi è rimasto come ricordo delle due tappe, rispettivamente di 150 e 156 km, che ci hanno permesso di attraversare la Svizzera meridionale fino ad arrivare in Valle d’Aosta è stato: il fortissimo vento contrario, le lunghezze atroci delle salite del Sempione (35 km) e soprattutto del Gran San Bernardo (44 km con 2100m di dislivello) ed il dolore provato per un’improvvisa ed insistente infiammazione al tendine rotuleo.

Siamo partiti di buon mattino da Morgex perchè la tappa in programma era una di quelle “toste”, si sarebbe dovuto superare il maggior dislivello giornaliero dell’intero viaggio, circa 3700m; il ginocchio fortunatamente mi ha fatto meno male delle giornate precedenti anche grazie ad una buona dose di antinfiammatori. Dopo solo un km di pianura ci siamo presentati all’attacco del Piccolo San Bernardo, lungo ma abbastanza facile, tanto da permetterci di arrivare in cima senza aver speso troppe energie; fatta una discesa noiosissima, bisogna sempre pedalare, ci siamo immessi sulla famosa D909 -“Route des Alpes”- strada che attraversa da nord a sud le Alpi francesi e lungo la quale sono posti molti dei più famosi valichi transalpini. Il primo passo, di suddetta strada, ma secondo della giornata che abbiamo superato, è stato il Col de l’Iseran posto a 2770m, l’abbiamo attaccato all’una del pomeriggio e sotto un sole cocente; nella prima parte il paesaggio non dice granchè, almeno fino a che non si raggiunge Val d’Isere, da lì gli ultimi 12 km sono veramente uno più bello dell’altro che, neanche l’improvvisa rottura della catena di trasmissione della bici di Fabrizio, ci ha guastato. Abbiamo notato subito come siano pericolose le discese dai valichi francesi, un asfalto molto “gibboso” e la carreggiata ridotta ci hanno imposto un’ulteriore sforzo di concentrazione fino al meritato riposo a Lanslevillard dopo 138 km e quasi 11 ore.

Il giorno seguente ci siamo svegliati con un gran mal di testa, a causa dei fuochi d’artificio sparati, sopra la nostra tenda, durante notte dai francesi per festeggiare la vittoria della loro nazionale ai mondiali di calcio, ma fortunatamente l’avvio in leggera discesa ci ha aiutato a rimetterci in perfetta forma o quasi, così in poco siamo giunti a St.Michel base del Col de Telegraphe.

Su questa ascesa delle persone normali e con un minimo di sale in zucca avrebbero pensato di salire sprecando le minori energie possibili in vista del terribile ed imminente Col du Galibier, ma poiché siamo dei ciclisti, i quali per definizione sono masochisti, il mio socio ha impostato un passo sostenuto per tirarmi per bene il collo, così io, essendomi risentito per l’affronto, ho aumentato ulteriormente l’andatura nel tentativo di fargliela pagare, ottenendo questi risultati: non siamo riusciti a staccarci neanche pedalando sopra i 20 km/h, tempo di scalata 48 min. (VAM 1070 m/h!) e soprattutto 5 anni di vita in meno. Fisicamente distrutti abbiamo affrontiamo il mitico Galibier, la prima rampa subito dopo Valloire ci ha ricordato la nostra stupidità, le gambe si erano marmorizzate, ma poi fortunatamente con il passare dei km siamo riusciti anche prendere un ritmo decente il quale, oltre che averci fatto arrivare in campeggio prima che facesse buio, ci ha permesso di ammirare lo stupendo paesaggio in cui eravamo immersi, gli ultimi 2 km hanno dell’incredibile con la strada che si inerpica in luoghi impensabili, dove la montagna brulla unita alle nuvole nere del cielo hanno contribuito a dipingere un quadro meraviglioso nella mia mente. Però lungo la discesa dalle nuvole nere si è scaricata una meno poetica pioggia, che ha reso pericolosissima la strada, ciò nonostante siamo riusciti ad arrivare sani e salvi a Serre-Chevalier per un meritato riposo.

La tappa successiva era lunga solo 95 km e prevedeva le scalate al Col de Izoard e al Col du Vars; la giornata è filata via liscia che è stata un piacere, tanto che alle 14 siamo già arrivati in campeggio, il morale ha raggiunto vette altissime, ormai ce la stavamo proprio facendo.

Il profumo della vittoria ci ha inebriato in un modo tale che ci siamo svegliati all’alba per affrontare le ultime due salite del raid, e anche se queste si chiamano Cime de la Bonette e colle della Lombarda eravamo sempre più convinti che nulla ci avrebbe fermato. La Bonette, strada più alta d’Europa con i suoi 2802m, è da prendere con le dovute cautele e fortunatamente siamo riusciti ad autolimitarci, inoltre salendo senza battagliare ci siamo goduti il suggestivo paesaggio lunare che si può ammirare durante i suoi ultimi km; in vetta l’altitudine ha iniziato a farsi sentire, ma quando finalmente siamo giunti in cima un caloroso applauso offertoci da un gruppo di motociclisti ci ha gonfiato d’orgoglio ridandoci il fiato. Ci mancava un solo colle, e proprio per farcelo attendere di più, Fabrizio ha forato, ma in meno che non si dica, siamo giunti ad Isola, località dove abbiamo iniziato a salire per l’ultima volta; i primi due km sono stati traumatici sia per le aspre pendenze sotto le nostre ruote che per l’incredibile calura (32°C); ma ormai eravamo praticamente al termine, ci sarebbe voluto ben altro per fermarci, tanto che siamo arrivati di buona lena al lungamente sognato ultimo valico spingendo quasi costantemente il 32x24. In cima alla Lombarda io e Fabrizio abbiamo scollinato con la mano nella mano e la pelle d’oca nelle gambe, e finalmente abbiamo potuto liberare al cielo un urlo trattenuto per ben 16 giorni, nessuna vittoria precedente mi ha mai dato una gioia simile.

L’ultima tappa è stata, come nei grandi Giri sono gli arrivi a Milano o gli Champs-Elise, una sorta di lunga passerella personale e, anche se il chilometraggio è stato notevole (200 km), la mancanza di rilevanti difficoltà altimetriche ci ha permesso di arrivare in ottima forma a Genova.

Per concludere vorrei approfittare per fare dei ringraziamenti a tutte le persone che ci hanno aiutato ad affrontare questa nostra “pazzia”:

al dott. Paolo Olmo per averci offerto l’uso delle sue fantastiche mountain-bike senza le quali il viaggio lo avremmo fatto a piedi, alla Sci-Con di Luciano Fantin per le comode e resistentissime borse, a Stefano e Alessandro titolari del mitico “Tramonti” per l’indispensabile attrezzatura da campeggio, a mamma e papà ed infine, ma non ultimi, un GRAZIE gigante alla fotografa Loretta e Marco che ci hanno aiutato in un momento molto critico per noi perdendo due preziosi giorni delle loro già corte vacanze.

Grazie a tutti ed arrivederci alla prossima (forse)!!!

Ups and Downs